LA TESTIMONIANZA DI PAOLA BANAL, IN LIBANO CON OPERAZIONE COLOMBA IN AUTUNNO 2022

Vivere in un campo profughi fa schifo. Fa schifo anche se le persone stanno bene, sono gentili ed ospitali, anche se i bambini giocano, ridono e si divertono, anche se la vita, apparentemente, va avanti. Fa schifo e non bisogna toglierselo mai dalla testa, perché altrimenti si rischia di dimenticarsi che non è dignitoso e rispettoso dei diritti umani che tante, troppe persone, vivano in queste condizioni. Penso che le parole che meglio descrivono la condizione di queste persone siano stabile precarietà. Precarietà perché la tenda ha sempre qualcosa che non va, perché oggi stai bene e domani non si sa, perché ci sono i soldi per sopravvivere alla quotidianità, ma il minimo imprevisto manda in patatrak tutto. I bambini giocano con e nella sporcizia, sono esposti alla violenza e la riproducono nella relazione tra di loro e, fallimento più grande di tutti, non vanno a scuola. Non solo sono gli ultimi in questo momento della loro vita, ma senza un’istruzione di base lo saranno per sempre e, giustamente, non potranno mai svolgere il ruolo di ‘ricostruttori’ che ci si aspetta dalle generazioni future. Stabile perché la permanenza media nei campi profughi è di 20 anni, tragedia che non ha bisogno di ulteriori parole. 

Eppure, in tanta schifezza c’è anche della bellezza. Nel the super zuccherato e bollente che ti viene versato appena ti siedi e nel caffè che a qualsiasi ora del giorno viene offerto a chiunque entri in tenda. Nella nonna che si preoccupa se mangiamo abbastanza. Nel vicino di casa che ci porta del cibo. Nei bimbi che ti chiamano per nome, ti saltano addosso e ti insegnano l’arabo. Nelle persone che si fermano per strada a salutarti e ti invitano da loro. In chi si da da fare, mettendoci tutto se stess* per fare del bene e migliorare la situazione. In chi non ha perso la speranza e continua a lottare e portare avanti i propri ideali. In chi non ha mai smesso di amare la Siria e spera di tornarci, nonostante tutto. In chi sogna un futuro migliore in un altro stato. 

Si vive in un contesto di contraddizioni continue: Se da una parte sembra che la situazione economicamente e socialmente sia sempre lì lì per crollare, dall’altra le giornate procedono tranquille e senza grossi problemi. Ci sono molte cose fornite dalle istituzioni, ONU&co, come i teloni delle tende o i bagni, e ci sono i loro loghi ovunque, ma dall’altra stanno tagliando un sacco di aiuti, indispensabili alla sopravvivenza, tanto che i siriani rinunciano a mandare i figli a scuola o ad andare dal medico, perché costa troppoI bimbi sono super affettuosi con noi, ci cercano e ci insegnano l’arabo, ma tra di loro sono dei selvaggi e risolvono ogni problema picchiandosi o lanciandosi sassiL’ospitalità è un caposaldo della loro cultura e in ogni tenda, garage o casa in cui entriamo ci viene offerto qualcosa da bere o da mangiare, poi però le persone mangiano pane con pane, perché non hanno nulla da metterci dentroI siriani sono in un limbo in cui non possono né tornare indietro, perché in Siria la situazione è ancora peggio, né andare avanti, perché andarsene pure è complicato. Tutti ci chiedono di viaggiare, ma i visti dei corridoi umanitari sono pochissimi (oltre al fatto che non siamo assolutamente noi quelli che decidono chi parte) ed è abbastanza faticoso non poter rispondere a pochissime delle richieste che le famiglie ci fannoLe sere ci regalano spesso tramonti bellissimi, ma se guardi un po’ più in basso dell’orizzonte ti accorgi che ci sono tende ovunque e che vivere in questi campi fa proprio schifo.

Paola Banal

Leggi la Proposta di Pace- Noi Siriani.


1 Comment

Cristina · 5 Aprile 2022 at 11:22

Pictures and words let us know how is the life there. Well done and interesting👍

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