Ecco qui un fumetto sul conflitto israelo-palestinese. Attraverso la sollecitazione di un balletto su tiktok molto in voga tra le ragazze israeliane e il contrasto con uno sfondo fatto di bambini palestinesi colti nelle loro faccende di sopravvivenza a Gaza proponiamo una riflessione sul nostro ruolo di spettatori di quanto sta accadendo laggiù.
Le parole di Antonio Massariolo puoi leggerle qui sotto.
Balletto: un brano di Moni, artista israeliano
I volti dei bimbi palestinesi: Eye On Palestine 2 (@eye.on.palestine2) • Foto e video di Instagram
Quanto può essere disumano un ballo? Quanto ci può insegnare vedere 20 secondi di una persona che si muove sulle note di una canzone? Viviamo nell’epoca in cui siamo bombardati di stimoli, basta aprire un social media network e in pochi minuti passiamo da video buffi, a filmati di gatti fino a vederci davanti la morte di un bambino, e tutto sembra un’enorme finzione.
Delle ragazze vestite da militari ballano sulle note di una canzone dal mood allegro. Meno di 20 secondi.
I social ci stanno rendendo insensibili? Una risposta ponderata a questa domanda è difficile da dare, e quella che esce dal cuore non può che essere tanto scontata quanto parziale.
Il contrasto che quotidianamente, volenti o nolenti, ci troviamo davanti ai nostri occhi e che esce dagli schermi dei nostri telefoni però è qualcosa mai vissuto prima, di certo mai con questa costanza, con questa intensità, con questa polarizzazione. Possiamo vedere delle ragazze israeliane ballare e meno di due secondi dopo vedere che magari dei loro parenti hanno ammazzato in un sol colpo decide di bambini palestinesi. Immagini che sono a colori ma sembrano essere solo in bianco e nero, sembrano essere binarie, sembrano metterti con le spalle al muro: o sei a favore o sei contro. Bisogna condannare le ragazze che ballano? E se nella storia successiva avessimo visto un video di un gatto le condanneremmo allo stesso modo o è solo quel contrasto esplicito e non intrinseco a noi a farcelo fare? La vita è fatta di sfumature, e spesso sono proprio queste che danno forma al mondo, o almeno al mondo che potremmo desiderare. E invece viviamo un’epoca di contrasti e non ci può essere contrasto peggiore di festeggiare il Natale mentre lì, proprio dov’è nato colui che in teoria staremmo festeggiando, bambini come lui sono sotto le bombe di uno Stato che sta facendo di tutto per farli sparire per sempre. “Sia benedetto il signore Gesù Cristo, che se fosse nato oggi non l’avremmo neanche visto” cantava quattro anni fa Brunori Sas, parole che purtroppo sono più attuali che mai.
Dobbiamo colpevolizzare queste ragazze? Dobbiamo additarle come il mostro della settimana per poi dimenticarcene? Non è necessario e, per quanto possa risultare fastidioso leggerlo, non è sempre necessario trovare un nemico. Non è necessario nemmeno pensando che queste ragazze sono solo un mezzo di una propaganda becera e disumana, che cerca di distrarre da crimini che solo la storia saprà dirci per quante generazioni creeranno odio e ritorsioni.
E quindi? Se non si additano queste ragazze che ballano come il nemico più assoluto cosa si fa? Anche qui sembra necessario dover prendere una posizione, sparare sentenze, dire con certezza cos’è giusto e cos’è sbagliato. Così facendo, dichiarandolo a quattro venti nella nostra infinitesimale ed inutile bolla social ci sentiamo apposto con la coscienza: pubblichiamo una storia e accantoniamo l’argomento. E con lui accantoniamo la voglia di ragionare, accantoniamo l’empatia, accantoniamo il vero spirito critico. Giudichiamo le ragazze che ballano, senza accorgerci che l’obiettivo e i colpevoli sono altrove. I contrasti devono essere guardati, bisogna cercare di capirli. Ci sono però delle premesse da cui bisogna partire e per farle prendiamo in prestito le parole di una persona che la guerra l’ha conosciuta fin troppo bene. “Le guerre appaiono inevitabili, lo appaiono sempre quando per anni non si è fatto nulla per evitarle” diceva Gino Strada, e le sue parole risuonano più allarmanti che mai.
Lascia un commento