Una colomba tra i mapuche

Chi sono i Mapuche? Sono il popolo della terra, originario di Cile e Argentina, e l’unico dell’America Latina che non è mai stato conquistato dagli spagnoli. Alla fine del seicento ha siglato alcuni accordi con gli spagnoli che ne decretarono l’indipendenza a sud del fiume Bio Bio, in un territorio che comprendeva la parte centro-meridionale di Cile e Argentina (per i mapuche il “Wallmapu”). Questo durò fino alla seconda metà dell’ottocento quando, dopo la nascita dei due Stati, alcune campagne militari rubarono gran parte delle terre ai Mapuche, massacrando e impoverendo molte comunità.

I Mapuche hanno una forte connessione con la natura. Sono il popolo della Terra e hanno un legame speciale con essa. Prima di entrare in un bosco o attraversare un fiume chiedono il permesso agli spiriti che li proteggono e vi dimorano. L’anello di congiunzione tra questi ultimi, la cura degli altri e la natura risiede nella figura delle/dei machi. Chi ricopre tale posizione è predestinato ad esserlo fin dalla nascita. Da molto giovani si ammalano, segno del bisogno di prendere una decisione importante nella propria vita e nei confronti della comunità: accogliere o meno il proprio ruolo e dono. Con l’accettazione si comincia a studiare, accompagnati da chi è già machi, le pratiche di cura, le piante, la medicina naturale e il mapudungun.

Nella cultura mapuche (popolo della Terra), non è mai esistito il concetto di proprietà privata. Anzi, vi è un’identificazione come parte integrante della Terra e come suoi custodi. Questa prospettiva riflette la connessione spirituale e culturale che i mapuche hanno con l’ambiente naturale e evidenzia il loro ruolo come protettori piuttosto che suoi proprietari. 

L’arrivo dei colonizzatori ha portato anche un’influenza cattolica che ha tentato di evangelizzare il popolo mapuche a partire dalla scuola e dalla famiglia. Il mapudungun era vietato in molti luoghi. I mapuche, costretti a parlare in spagnolo, venivano discriminati per il loro accento. Per paura, molti genitori hanno smesso di insegnare la lingua nativa ai propri figli, anche per evitare che venissero puniti a scuola. Fortunatamente non è più così, in molte scuole il mapudungun viene insegnato anche se il percorso di accettazione della cultura mapuche è ancora lungo.

Nel corso degli anni molte terre mapuche sono state espropriate con la forza o con l’inganno. Impresari e latifondisti, approfittando di chi non sapeva leggere o scrivere, soprattutto la lingua spagnola, sono riusciti ad acquisire diversi ettari di terreno a costi bassissimi. 

Nonostante l’esistenza di quasi 2.000.000 di mapuche in Cile, questo popolo non trova il proprio riconoscimento all’interno della Costituzione del Paese. Spesso alle rivendicazioni per i diritti lo Stato risponde con violenza, a volte etichettando i mapuche, soprattutto a livello mediatico, come terroristi. 

Le rivendicazioni territoriali o “recuperacion” sono una forma di rivendicare i territori appartenuti al popolo mapuche. Le comunità rivendicano un territorio vivendoci. La legge LEY 21633 o “Ley de Usurpaciones”, promulgata nel novembre 2023 inasprisce le pene per atti di occupazione e garantisce sgomberi senza provvedimento giudiziale, pene detentive per azioni che, fino a qualche mese fa, erano sanzionate con pene pecuniaria. In ottica Mapuche, la “Ley de Usurpacion” si è convertita in una protezione legale per la repressione del popolo indigeno e dei tentativi di rivendicazione delle proprie terre ancestrali.

Uno dei motivi che spinge alla lotta la popolazione mapuche è quello della rivendicazione della Terra ancestrale, usurpata, negli anni, dallo Stato, da latifondisti, società di estrazione delle risorse e multinazionali. Senza terra e senza il legame con essa il popolo mapuche non può esistere.Rivendicare le terre ancestrali significa anche il riconoscimento dei mapuche in quanto popolo originario, oltre che all’autodeterminazione come Nazione. La natura è vita, e quindi va difesa. Un fiume, un vulcano, un terreno, una pianta o un albero, sono sacri, e per questo devono essere custoditi. Nella spiritualità mapuche la terra è stata affidata loro che la devono preservare e custodire.

In alcuni casi documentati si sono verificati episodi di costruzione di accuse false per detenere leader mapuche che si sono impegnati nella difesa di un fiume o nella rivendicazione di un terreno. Può anche capitare che per un determinato reato la prigione preventiva o le pene siano più severe si si tratta di imputati mapuche. Le comunità e i famigliari dei prigionieri mapuche chiedono un giusto processo.

Molti mapuche sono in carcere condannati per reati legati alle rivendicazioni territoriali che li portano in conflitto con lo Stato. Spesso, per rivendicare i propri diritti culturali e richiedere un giusto processo, si sottopongono a lunghi e duri scioperi della fame che li portano a rischiare la vita.

Per lottare e rivendicare i propri diritti in quanto popolo originario della Terra, molti mapuche sono stati arrestati e condannati a pene detentive particolarmente lunghe. Solo in due carceri del territorio cileno, in seguito a proteste e scioperi della fame durati mesi, i mapuche hanno ottenuto un settore che gli permette di vivere in forma comunitaria e di poter praticare la propria cultura e spiritualità.

Matías Catrileo è stato ucciso il 3 gennaio 2008 da un colpo di arma da fuoco sparato dalle forze dell’ordine in un terreno rivendicato da una comunità mapuche. Camilo Catrillanca è stato assassinato con un colpo alle spalle dalle forze speciali cilene il 14 novembre 2018 nella sua comunità a Temucuicui. Macarena Valdés è stata trovata morta il 22 agosto 2016 nella sua casa. Una perizia indipendente ha stabilito che è stata uccisa e che il suicidio è stato simulato. In casa con lei c’era il figlio di meno di un anno. Macarena era stata oggetto di numerose intimidazioni e minacce a causa del suo impegno nel contrastare i progetti idroelettrici nella zona. Il 16 febbraio 2021 è stata uccisa Emilia Bau che accompagnava una comunità mapuche nella difesa delle coste del lago Riñihue, occupate da una proprietà immobiliare. Responsabile del suo omicidio è un dipendente del condominio che occupa le rive del lago.

Questi sono solo alcuni tra i casi più emblematici degli ultimi anni di uccisioni di attivisti mapuche, perpetrate dalle forze dell’ordine e da un sistema economico che considera i mapuche terroristi. Questo sistema è sordo alle numerose rivendicazioni di diritti e dignità che questo popolo originario porta avanti da molti anni.


Vivendo in una società maschilista e patriarcale, facilmente ci si dimentica che nelle guerre, nelle lotte e nelle dittature, come quella di Pinochet in Cile, di fianco agli uomini ci sono sempre state, e tutt’ora sono presenti, molte Donne. Nella storia e nella quotidianità viene completamente negato il riconoscimento della presenza femminile, relegandola in continuazione a ruoli secondari, o spesso nel ruolo di vittime. Tutt’oggi continuo a non capire perché la donna non venga presa in considerazione e valorizzata in quanto tale, quando sappiamo che nella storia, nella scienza e nelle lotte più significative la protagonista è stata spesso lei, e continua ad esserlo.


Nella cultura mapuche si ha una cosmo-visione senza disparità di genere, basata su principi di uguaglianza e dualità. Sia uomini che donne partecipano in vari ambiti e con diversi ruoli intercambiabili: ad esempio le/i machi (coloro che intermediano tra il popolo mapuche e gli spiriti della salute, del benessere e della tranquillità) o le/i longko (le/i leader delle singole comunità).
Nonostante questo, l’influenza del colonialismo si percepisce. Si è creata nel tempo una spaccatura più netta tra i ruoli considerati “femminili”, riguardanti il preservare la cultura e la conservazione delle pratiche della medicina mapuche, e quelli “maschili”, di guide della comunità, soprattutto dal punto di vista politico e di rappresentanza.


I mapuche sono spesso discriminati dalla società civile, dallo Stato cileno, e non sono riconosciuti nella Costituzione del Paese, ma lottano quotidianamente per il riconoscimento delle proprie terre ed identità culturale in quanto popolo nativo. In questa cornice le donne subiscono ulteriori discriminazioni, in quanto Donne, povere ed indigene. Sono loro, però, quelle che combattono giorno dopo giorno per l’educazione dei propri figli, per la cultura, la lingua, le terre e per preservare i doni della natura.

Ho avuto l’opportunità e la fortuna di conoscere una machi, Sandra, in una piccola comunità dell’Araucanía, da secoli zona di conflitto in Cile tra il popolo nativo e lo Stato. Sedute sotto al suo rewe (totem sacro mapuche che simbolizza la connessione con il cosmo, e sul quale sono appese bandiere di vari colori che rappresentano i sogni della machi) mi ha raccontato cosa significa essere machi, quali sacrifici comporta, e come viene considerata la sua presenza nella comunità stessa.


Il percorso di Sandra è stato lungo e doloroso. Quando una persona è predestinata a diventare machi si ammala da giovane, e così è successo anche a Sandra: a 12 anni ha cominciato ad avere forti attacchi che la sua famiglia considerava “epilettici”, uniti a dolori intensi alle ossa e a cadute in trance dove lo spirito del wenu mapu (del cielo) entra in chi possiede questo dono. In seguito ad un episodio in cui ha perso completamente la coscienza in un fiume “lottando e dominando un animale”, racconta Sandra, un machi le ha detto che tutto ciò le stava capitando perché il suo ruolo sarebbe stato quello di diventare, appunto, machi. Se non si accetta questa responsabilità si può anche morire. Così, a 18 anni, decise di accettare il motivo per cui era al mondo, e di farlo nella terra a cui il suo spirito machi è sempre appartenuto, l’Araucanía. La scelta non è stata facile: il ruolo che ha una machi nella comunità richiede costante presenza, responsabilità, ed assume un ruolo di guida che dà sicurezza e aiuta a guarire le persone. Il percorso prevede anni di studio di rimedi, di piante, della lingua mapudungun, dei principi, valori, e dei compiti fisici e spirituali che una machi deve incorporare. Il processo si conclude con una cerimonia chiamata machitún, necessaria per separare tutte le energie maligne dal proprio corpo e dal corpo di chi assiste all’evento.
Il giorno del machitún lo spirito della machi, guidato dalla musica della pifüllka (strumento a fiato utilizzato nella cultura mapuche) e del kultrun (tamburo mapuche, presente anche nella bandiera) viene sulla terra, nella ruka (tipica casa mapuche in cui la machi crea i rimedi e riceve i pazienti) per unirsi alla persona fisica che diventerà machi. Quest’ultima, quindi, incorporerà due “personalità”: quella mortale e fisica, e quella spirituale, eletta centinaia di anni addietro. Questo può spesso risultare difficile da accettare da parte delle persone più vicine, che notano continui cambi di umore nella machi, che in realtà deve rispettare delle regole ben strutturate, e richiedere rispetto da coloro che la circondano. Ciò porta, a volte, all’allontanamento da parte di alcune persone e comunità, come nel caso di Sandra che ha trovato delle difficoltà nel farsi accettare.


“Ma a me piace far vedere con i fatti che sono una buona machi e che svolgo bene il mio lavoro”, dice Sandra, motivo per cui vengono da lei pazienti anche da città lontane. Ci racconta, poi, che secondo lei il mondo mapuche rischia di scomparire e perdere i propri valori, ma che forse la sua missione come machi è proprio questa: far capire quanto sia importante che l’amore per la terra non si perda nel tempo, e che tutto possiede una vita e di conseguenza deve essere rispettato. Il wingka (lo straniero) fatica a vederla in questa maniera, e per questo crea “forestali” (immense piantagioni di pini ed eucalipti che necessitano di molta acqua, e che di conseguenza prosciugano i fiumi, i laghi, le lagune circostanti, fondamentali per le comunità) distruggendo i boschi nativi, la natura e le piante necessarie per i rimedi e le cure, con uno sguardo proiettato unicamente verso l’aspetto economico. Senza la materia prima fondamentale per le terapie e gli antidoti, una machi non può aiutare né i paziente né se stessa (il dolore che cerca di alleviare nelle altre persone lo assorbe lei stessa, e per questo ha bisogno di essere a sua volta curata). Non potrebbe far guarire le persone se non in maniera totalmente naturale. L’errore della medicina occidentale è, infatti, quello di non provare a curare in questa maniera, ma solo tramite medicinali e farmaci senza il sostegno ed aiuto ai pazienti in maniera più “spirituale”. “Per questo la gente spesso muore sola e depressa”, dice Sandra.


Oltre alla lotta per la preservazione delle cure, della cultura, della terra e della lingua mapudungun, si aggiunge anche quella per la riaffermazione dell’essere Donna, machi e mapuche. Come tutte le figure femminili, anche quella della machi è rappresentata come qualcosa di puro, la madre spirituale di tutti e, di conseguenza, con molte responsabilità. Questo, però, non elimina la discriminazione che nel tempo è stata assimilata da parte della comunità e, su più larga scala, da tutta la società. Vi è spesso uno sguardo negativo e discriminativo verso la donna mapuche, considerata povera su più dimensioni, come quella economica, educativa e sociale.


Sandra, in quanto mapuche, machi e giovane Donna sente di avere la responsabilità di rompere questi schemi machisti e di dover continuare a lottare per farsi rispettare e far sentire la propria voce.
L’appello finale che fa Sandra è quello di vivere la vita, conoscerla, avvalorare ciò che si ha perché tutto esiste per un motivo. Forse noi occidentali dobbiamo imparare a prendere il positivo da queste culture, così lontane, perché possono aiutarci a dare più senso alle cose e insegnarci molto.
Una delle cose più importanti che ho imparato da molti mapuche è che “il ieri è un ricordo, l’oggi è un momento, e il domani non esiste”. È un appello ad apprezzare ciò che succede a noi e ciò che ci circonda, e continuare a lottare per le cose che ci sembrano giuste, per i propri diritti, non perché uomini o donne, ma perché persone.

Meg


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